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Ricerca: Promozione di sistemi locali di produzione agro-alimentare di rilevante interesse

La nozione di “sistema locale di produzione agro-alimentare”, in quanto realtà comprensiva delle fasi e dei modi produzione, trasformazione, preparazione e consumo alimentare, è stata messa in rapporto all’identità come elemento costitutivo, plurale e valore relazionale nella filiera agroalimentare lombarda. Ci è proposti la verifica delle componenti del sistema, al fine dell’individuazione di un modello, sondato tramite studio di casi e la ricerca sul campo condotta nella primavera del 2012, riscontrando le condizioni, i requisiti, le reti di relazioni che rendono identificabili e viventi le qualità del “sistema locale di produzione agro-alimentare” a valenza identitaria.

Al centro del lavoro è stata posta quindi la ricostruzione teorica e metodologica della matrice produttiva, ecologica ed antropologica della produzione agro-alimentare di qualità, entro sistemi viventi di cui si vogliono comprendere le qualità e le relazioni che li rendono originali e capaci di tenuta, riproduzione, immagine e riconoscibilità, attrattività, oltre che specifici vantaggi competitivi. Il portato essenziale della ricerca, conferma e rende visibili i nessi tra produzione agroalimentare ancorata ai luoghi e costruzione di identità, configurazioni sociali e progettualità.

Lo studio e la ricerca sul campo di 6 casi (il Vigneto Capretti a Brescia, il mais spinato a Gandino, lo stracchino di Corna Imagna, il grano saraceno a Teglio, l’asparago di Mezzago e il Bitto di Gerola), corrispondenti ad altrettante località lombarde caratterizzate dalla presenza di produzioni agroalimentari “storiche”, ha consentito di confermare l’ipotesi di partenza circa l’esistenza di sistemi di produzione agroalimentare locale, con un forte ruolo identitario, in quanto sistemi capaci di comprendere una pluralità di dimensioni (e quindi vitali e autosostenibili). Questi sistemi presentano tratti comuni, che possono consentire di identificare un modello abbastanza preciso, tale da distinguere queste realtà dalle numerose espressioni di tradizione alimentare presenti in Italia e in Lombardia. La conoscenza diretta delle diverse realtà ha messo in evidenza il loro accentuato e, per certi versi, inaspettato dinamismo e l’essere caratterizzati da un percorso diversificato nei modi e nei tempi, ma associabile all’impatto con una crisi profonda, in quanto realtà cancellate e/o minacciate da uno sviluppo sociale che assegnava alla produzione agricola un connotato unidimensionale. Questi sistemi locali non si sono adeguati alla logica produttivistica, ossia a svolgere un ruolo subalterno di ingranaggio di filiere industriali, ma per lunghe fasi si sono dovuti relegare nel “sommerso” (come a Corna Imagna), sono spariti (asparago di Mezzago, mais a Gandino) o quasi (grano saraceno di Teglio, vigneto Capretti di Brescia). O hanno rischiato di essere omologati a qualcosa di molto diverso (Bitto storico).

Sia che si sia trattato di un “recupero” o di una faticosa sopravvivenza (nella speranza di tempi migliori), in tutti i casi questi sistemi sono oggi vitali grazie a scelte consapevoli e meditate, a investimenti (economici e non) di gruppi, aggregazioni spontanee, Amministrazioni locali. Le motivazioni che hanno consentito di far rinascere o sopravvivere questi sistemi sono la garanzia della solo solidità: il coinvolgimento di una pluralità di soggetti sociali estranei o non direttamente coinvolti nelle logiche settoriali del “comparto agricolo” costituisce la garanzia che la pluridimensionalità di queste realtà continuerà ad essere considerata e implementata, che la dimensione comunitaria che caratterizza queste esperienze, l’intreccio fecondo e auto-propulsivo tra la dimensione produttiva, sociale, culturale verranno mantenute. Il processo che ha consentito a fronte di concrete minacce di dispersione di un patrimonio, di reagire e costruire progetti, relazioni, iniziative è rappresentato dall’esistenza, nelle realtà che abbiamo studiato, di una serie di requisiti, che probabilmente non sono facilmente rinvenibili altrove: un orgoglio per le origini e per la specificità territoriale, la presenza di una rete di associazionismo e volontariato superiore alla media, di una memoria collettiva viva di “comunità di pratica” (ancora vitali o comunque vive nella memoria dei loro componenti), la conservazione di saperi, reti socio-tecniche. Soprattutto un capitale sociale, in grado di dare forza a tutti questi elementi. In questo quadro, prodotti agroalimentari, tecniche, saperi, relazioni costruite intorno a tali dimensioni, rappresentano un elemento, ma non l’unico e non necessariamente il più importante dell’identità locale.

Di certo, però, la riattivazione di questi sistemi contribuisce efficacemente all’identità e alla riattivazione di reti e fattori di coesione, anche nella prospettiva di un’azione comunitaria nuova e inclusiva, che trae stimoli, valori, simboli dal passato ma per giocarli in una scommessa di futuro, fuori da ogni logica di arroccamento. Forti di un capitale sociale non comune, le realtà studiate hanno saputo escogitare modelli di integrazione tra dimensione economico-imprenditoriale (sempre presente nella consapevolezza della “regia” di queste esperienze) e dimensione di reciprocità, gratuità, volontariato. Il capitale di fiducia ha consentito di distribuire tra diversi soggetti in connessione tra loro il ruolo di “innesco”, “accompagnamento”, “investimento in beni collettivi e pubblici”. La ricerca sul campo fornisce e accresce la consapevolezza che i sistemi agroalimentari identitari che abbiamo studiato forniscano parecchi insegnamenti. Ma essi rappresentano un modello facilmente replicabile? No, considerati i prerequisiti (non solo una storia e una specificità percepita alle spalle che crea memoria condivisa, capitale sociale ecc., ma anche una capacità progettuale, la presenza di soggetti in grado di animare il processo di riattivazione di relazioni).

La capacità di diffusione (verso le località limitrofe) o di imitazione (verso realtà a macchia di leopardo presenti sul territorio) di queste esperienze è comunque un potenziale. In più casi la volontà di “smuovere i vicini”, di coinvolgere in reti o circuiti, località anche di altre province con prodotti ed esperienze simili, indica che c’è volontà di trasmettere, di rafforzarsi in una rete, di includere altre comunità in progetti condivisi. Il campanilismo appartiene a una dimensione che qui non esiste più (per quanto altrove ben presente e spesso paralizzante). I casi studiati (ma ne possono essere individuati altri), rappresentano quindi una grande potenzialità, insieme alla loro capacità di prefigurare elementi di progettualità a diversi livelli e domande esperte alle politiche regionali, facendo intravedere un territorio denso di soggettività, pratiche e saperi in quanto capace di dare e rigenerare forme plurali di identità. Non solo perché possono essere punti di forza di una Lombardia che sottolinea e valorizza le sue grandi tradizioni storiche nel campo agroalimentare (spesso lasciate in ombra e poco valorizzate a differenza di altre regioni), che si presenta con realtà al tempo stesso antiche e avanzate ma, soprattutto, per la capacità di questi sistemi di “riformare” attraverso un rinnovamento di visioni, il rapporto tra le dimensioni produttive, educative, turistiche, sociali, storiche e identitarie della produzione agroalimentare. Con l’obiettivo di valorizzare potenzialità ora disperse, di migliorare qualità di vita e attrattività di territori ora “marcati” come “fabbriche agricole” o come “aree sterili” (conurbazioni cementificate, ma anche i “deserti verdi”, esiti di un certo ambientalismo figlio della defunta società industriale dell’energia a buon mercato). Una riflessione quindi che non riguarda solo i “nostri” laboratori sociali – di per sé comunque in grado di costituire una realtà “fiore all’occhiello”, meritevole di riconoscimento e di visibilità (e di incentivo alla disseminazione), ma anche con riguardo a importanti comparti della produzione agroalimentare e del sistema culturale e turistico lombardo.

 

Dirigente responsabile: Alberto Ceriani

Responsabile di progetto: Marina Merlini

Gruppo di ricerca: Prof. Michele Corti (Coordinatore), Professore associato confermato a tempo definito presso il DeFENS (Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente. Department of Food, Environmentaland Nutritional Sciences) dell’Università degli Studi di Milano; arch. Stella Agostini, Ricercatore confermato a tempo pieno e professore aggregato presso lo stesso Dipartimento, Dott. Sergio Delapierre, sociologo e docente a contratto presso il Politecnico di Milano.Università e la collaborazione della Dott. Silvia Contessi, Dottoranda in antropologia ed epistemologia della complessità presso l’Università di Bergamo

Gruppo di lavoro tecnico: Francesca Santambrogio, dirigente (Servizio Servizio VIII Commissione Agricoltura, parchi e risorse idriche del Consiglio regionale; Alberto Ceriani e Marina Merlini (Struttura Implementazione delle politiche, Èupolis Lombardia)

Committente: VIII Commissione Agricoltura, Parchi e risorse idriche del Consiglio regionale

Dati di pubblicazione: Rapporto finale, giugno 2012

Codice ricerca: 2011C005